Per raccontare Juan Alberto Schiaffino, un autentico mito del calcio di cui è stato ricordato proprio quest’anno il centenario della nascita, basterebbe citare ciò che di lui ha scritto Eduardo Galeano, “Con le sue giocate magistrali organizzava il gioco della squadra come se stesse osservando tutto il campo dalla torre più alta dello stadio”, oppure le parole con cui lo ha descritto Gianni Brera, “Illuminava il gioco come se avesse delle torce elettriche nei piedi”. Per verificare quanto attendibili fossero le frasi iperboliche dei letterati, Massimiliano Castellani (recentissimo vincitore del Premio Coni-Ussi 2025 per la sezione “Costume e Inchieste”) ha incontrato a suo tempo, a un salone del calcio come “Cina”, Bonizzoni, allenatore di tante squadre ma anche del Milan di Schiaffino nell’anno del terzo scudetto milanista prima di chiudere la carriera in cattedra a Coverciano. Ebbene: proprio Bonizzoni aveva emesso una sentenza che nel centenario della nascita di Schiaffino, per tutti i sudamericani “el dios del fútbol”, invita ad analizzare, con maggiore sapienza ed equilibrio critici, le gesta di quei fuoriclasse, ormai consegnati alla leggenda del calcio, che i giovani corrono il rischio di non conoscere. Parliamo di Schiaffino ma anche di Di Stefano, di Pelè, di Cruijff e di Maradona, i cinque extralarge fuori classifica di un calcio che merita di conservare un posto speciale nella memoria collettiva. Il migliore di cinque?
Una classifica del genere non è mai stata stilata, ma Bonizzoni ha avuto il coraggio di indicare proprio Schiaffino come “il più grande dei grandi”, meritevole di quella citazione (“el dios del fútbol”, appunto) che per i sudamericani appare persino scontata. Tra le pagine della Coda del drago, tutte da leggere, non può sfuggire la splendida intervista che Alberto Brambilla ha effettuato con un interlocutore d’eccezione come Massimo Raffaeli, traduttore di vaglia, fine saggista, recensore optimus e altro ancora, uno dei pochi intellettuali che si è davvero sporcato le mani con gli inchiostri colorati della scrittura sportiva, indagandone diversi esempi testuali e riscoprendo personaggi dimenticati, autori e libri trascurati di cui ha provvidenzialmente proposto e curato nuove edizioni. Acceso tifoso della Juventus, Raffaeli ha seguito con occhio attento le evoluzioni dei suoi miti, tra i quali l’inarrivabile fantasista argentino Omar Sivori, guardando alla Tv con gli amici, le partite della squadra bianconera in un bar di paese, come si faceva una volta. A Sivori ha dedicato non a caso uno dei più raffinati libri di letteratura sportiva anche a costo di attirarsi le critiche dei cattedratici più supponenti. Di grande impatto, per la passionalità che esprime parlando di calcio, l’intervista che Darwin Pastorin, oggi tra i più autorevoli e popolari scrittori di sport, ha rilasciato a Piero Faltoni. Tra i suoi ispiratori Darwin ne cita due, soprattutto: Vladimiro Caminiti, firma poetica di Tuttosport, per quanto riguarda il giornalismo sportivo (mi insegnò a “cominciare il racconto della partita - dice - dal verde del prato e dall’azzurro del cielo”) e Giovanni Arpino, lo scrittore, Premio Strega nel 1964 con L’ombra delle colline, che sdoganò definitivamente la narrazione sportiva, portandola da un limbo di secondo livello alla Serie A letteraria. È stato il faro letterario di Darwin, proprio lui che invitava i cronisti a essere “bracconieri di storie e personaggi”. Non mancano all’interno interventi “speciali”: il ricordo commosso che Tonino Raffa fa di Bruno Pizzul, per esempio, e i contributi sempre puntualissimi dei ragazzi delle Università e dei Licei.