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Trent’anni senza Gianni Brera. A ricordarlo, facendo riemergere dagli archivi della memoria le magie di una scrittura inimitabile, ecco questo libro, “Per Gianni Brera l’Arcimatto”, che Adalberto Scemma ha curato insieme con Alberto Brambilla per la collana “La coda del drago”). Sono presenti in gran parte testi inediti, alcuni dei quali di evidente rilievo filologico, ma vi figura anche un’ampia sezione dedicata a testi che appartengono alla parte ufficiale della storiografia breriana e che conservano tuttavia una patina di attualità non intaccata dal tempo. L’attenzione che oggi viene riservata a Brera è la stessa che si deve ai classici. Rimane tuttavia, intangibile, l’onda creativa sollecitata dalla nostalgia. Oltre agli interventi dei due curatori, “Per Gianni Brera l’Arcimatto” allinea i contributi di penne autorevoli del giornalismo e della letteratura sportiva: Ferdinando Albertazzi, Mino Allione, Andrea Aloi, Alberto Brambilla, Vladimiro Caminiti, Massimiliano Castellani, Sebastiano Catte, Gino Cervi, Paola Colaprisco, Piero Faltoni, Vittorio Feltri, Gigi Garanzini, Mariella Gini, Sergio Giuntini, Filippo Grassia, Antonio Lanza, Gilberto Lonardi, Lorenzo Longhi, Andrea Maietti, Beppe Maseri, Gianni Mura, Gianluca Oddenino, Marco Pastonesi, Darwin Pastorin, Salvatore Piconese, Raffaele Pompili, Massimo Raffaeli, Claudio Rinaldi, Adalberto Scemma, Mario Sconcerti, Mario Sicolo, Giuseppe Smorto, Gianni Spinelli e Luca Urgu.
ANTEPRIMA SFOGLIABILE
Nell’imminenza dell’uscita, nelle edizioni dell’Istituto Italiano di Studi Filosofici, del suo lungamente atteso Effetto Dante. Sulla «Commedia» dei moderni, che indizi di vario ordine e grado inducono a ritenere un momento decisivo tra gli innumerevoli, e non tutti memorabili, che hanno contrassegnato l’anno dantesco che sta volgendo al termine, Gilberto Lonardi, con la discrezione e la grazia che ne costituiscono la cifra inconfondibile, ha realizzato a sorpresa un libro di poesie destinato a “scompaginarne le categorie, le gerarchie, i paradigmi”. Citiamo non a caso un giudizio di Franco Contorbia, cattedratico insigne che non ha bisogno di alcuna nota di presentazione. Sommo conoscitore delle tecniche e dei misteri della poesia e dei poeti, da Manzoni a Leopardi, da Montale a Sereni, Lonardi esordisce con La musa prigioniera come autore di versi a un’età che lo qualifica come “Highlander giovane da più tempo”. Si tratta di una settantina di poesie di straordinaria, raffinata fattura in buona parte dedicate al mondo dello sport, passione antica e mai rinnegata da un autore che ha in curriculum anche la voce “Sport e Linguaggio” del prestigioso Dizionario critico della letteratura italiana curato da Vittore Branca per la Utet. Parte dei versi fanno parte di una minuscola plaquette (45 copie in tutto) pubblicata fuori commercio nel settembre 2021, e destinata agli amici, per iniziativa di Gianni Cancellieri, che ne ha curato la grafica e la stampa, asceticamente artigianali. Ma la “minimusa”, come la chiama lui, ha continuato a ispirare Gilberto Lonardi anche nei mesi successivi al punto da suggerire al Panathlon (orgoglioso di questa scelta fuori copione) di raccogliere i due momenti creativi in un libro da inserire nella collana di letteratura sportiva che ha già licenziato i saggi critici su Gianni Mura. Anche se l’autore si affretta a dichiarare, nel testo che costituisce l’incipit della raccolta, che la sua è una “minimusa”, è inevitabile pensare, trattandosi di Gilberto Lonardi, alla Musa del tardo Montale che era tanto mini (lui diceva “lontana”) da potersi affermare “che mai sia esistita”. Di che cosa ci parla, dunque, questa “minimusa”? Se è concesso schematizzare un po’, potremmo dire che qui si alternano – ora divisi in componimenti diversi, ora integrandosi in uno stesso testo – due motivi fondamentali: l’ironica-malinconica contemplazione da parte del poeta prigioniero del tempo che scappa da un lato e, dall’altro, l’insistenza su figure, memorie, problemi letterari quasi come se il severo lavoro dello studioso dovesse non interrompersi ma affidarsi alla disincantata leggerezza della “minimusa”. Il mondo dello sport, in questo quadro di componimenti letterari “alti”, non occupa – si badi bene – uno spazio laterale ma è spesso il fulcro, invece, di una creatività in grado di spaziare libera restituendo a Lonardi parte di quell’universo (il mondo di Gianni Brera!) vissuto da lettore con ampia partecipazione emotiva e in fondo persino sognato con un ruolo da protagonista, come la competenza di carattere critico gli avrebbe autorevolmente consentito. Non è soltanto il calcio esaltante degli ultimi Europei o quello deludente del “secondo Mancini” a stimolare la vena di Lonardi. L’atletica leggera, antica passione, lo porta a indagare il futuro non privo di ombre (quella paterna in particolare) di Filippo Tortu e a scoprire addirittura il talento di un emergente come Alì Chituru, un “giaguarone” che calza il 50 di piede. Il tutto con una grazia e una leggerezza di toni che rende La musa prigioniera un unicum nel panorama della moderna letteratura sportiva.