Spazio d'Autore: intervista a Vincenzo Raimondi
By Edizioni ZEROTRE
Fotografia
Ci racconti chi è Vincenzo Raimondi.
Vincenzo Raimondi è un uomo nato da genitori provenienti da regioni differenti, per questo motivo ha avuto la fortuna di potersi ispirare da due fonti: dal Sud e dal Nord.
Cos’è per lei la fotografia?
La fotografia per me è un hobby, coltivato con cura, il quale mi ha permesso di affacciarmi al semiprofessionismo.
Il suo percorso professionale: ce lo riassume a tappe salienti?
Mi sono laureato a Padova in Psicologia del lavoro, con una tesi dal titolo La creatività nella fotografia pubblicitaria; metodi e prospettive. La maggior parte delle informazioni che si ritrovano al suo interno provengono dagli studi di Bruno Munari. Successivamente, sono stato assunto in qualità di direttore in una famosa tipografia di Arzignano, la Dal Molin. Erano tempi in cui, nell’ambito della stampa, ci si accingeva a passare dal piombo alla fotocomposizione, una rivoluzione epocale soprattutto dal punto di vista umano e lavorativo: dal piombo, al computer e poi alla pellicola; dal tangibile all’intoccabile. Passato qualche anno, mi sono sposato e sono passato all’insegnamento nella scuola elementare. A parte la fotografia, attualmente mi occupo anche d’altro.
Ci presenti la sua opera “COLORI PER COLORI”.
In quest’opera ho raccolto alcune immagini in cui il colore gioca un ruolo predominante. Io sono un “bianconerista”, ma apprezzo anche le fotografie a colori. Rimanendo in campo floreale, i fiori di norma sono a colori. Sebbene esistano anche calle colorate, la stragrande maggioranza di noi le identifica col colore bianco. Si noti che nella mostra abbinata al libro aperta in Banca Mediolanum ad Arzignano non ci sono foto di fiori.
Quali sono le differenze sostanziali tra scatti a colori e in bianco e nero?
Secondo Herbert Marshall McLuhan «the medium is the message»: questo vuol dire che il mezzo che utilizziamo per trasmettere un contenuto gioca un ruolo fondamentale nella percezione che abbiamo dello stesso. Per essere più chiari, il “bianconero” è il gesso sulla lavagna, la sostanza. Se però il cielo, un paio di scarpe rosse e un rossetto ricoprono un ruolo importante nella mia foto, è più funzionale usare il colore. Il colore diventa sostanza.
Cosa scatta nella mente di un fotografo per far sì che un’immagine diventi fotogramma?
Nella mente di un fotografo appare una visione, un’idea. Feininger nell’omonima opera parla dell’occhio del fotografo (Occhio del fotografo, 1977, Garzanti-Vallardi): avere un buon occhio fotografico è una capacità innata che non tutti possiedono. In questo mondo è fondamentale saper osservare, non solo guardare.
Lei afferma che, quando osserva, scatta prima una bozza di immagine nella sua mente e se quest’immagine gioca un ruolo funzionale e determinante, diventa poi foto. Ci spiega meglio il concetto?
La bozza è una prima visione, una sensazione. Il click è il passaggio successivo, ma intermedio, in quanto la foto diventa tale solo in camera oscura o in camera chiara (oggigiorno si lavora al computer). Non è detto però che tutto quello che traguardo nel mirino si concluda in una fotografia. A volte, invece, osservo ma; non scatto. Probabilmente, questo è dovuto al fatto che sono nato con la pellicola e ai tempi non la si poteva sprecare. Una volta, il pollice serviva a far avanzare la pellicola; oggi serve per scrivere sulla tastiera del telefonino. Due velocità, due funzioni diverse.
Quanto è importante saper cogliere l’attimo per un fotografo e qual è la prima emozione che segue lo scatto fino allo sviluppo del fermo immagine impresso sulla pellicola?
Cogliere l’attimo è diretta conseguenza dell’osservazione. L’emozione si avverte già durante lo scatto. A volte, quando il risultato non è quello voluto, percepire le sensazioni che la fotografia mi regala mi appaga comunque. Raramente ho rimpianti.
Quanto è cambiata la fotografia dai suoi primi scatti a oggi?
Ovviamente, posso parlare della mia fotografia. Sono uno dei tanti ammiratori di Henri Cartier-Bresson; ho però anche tante altre fonti d’ispirazione. Possiamo dire che a oggi il mondo è cambiato, e con esso la gente che ci vive. La preoccupazione per il rispetto della privacy ha pervaso gli animi. Prima, quando fotografavi la gente, qualcuno arrivava a sorriderti; ora ti guardano con sospetto solo perché hai la macchina fotografica al collo; poi, però, riempiono la rete con selfie in cui dimostrano di essere in un luogo diverso rispetto a quello che avevano dichiarato.
Qual è il futuro della fotografia, sempre più digitale e a portata di dito, viste le evoluzioni offerte dalle fotocamere degli smartphone?
L’evoluzione tecnologica ha permesso a tutti di sentirsi fotografi. Sicuramente è una bella cosa ma quantità non sempre va d’accordo con qualità; e sto parlando di contenuti. In ambito di video, questo divario diventa ancora più ampio. Si può avere fortuna e scattare una buona foto con il cellulare, ma il video presuppone un approccio cognitivo diverso. Fotografo per caso possiamo accettarlo, ma regista... aspettiamo. Nei concorsi fotografici si tende sempre più a richiedere molteplici opere di un autore piuttosto che un singolo scatto.
Se qualcuno le chiedesse come si diventa fotografi, cosa risponderebbe?
Risponderei di osservare e studiare i maestri. Qualcuno sostiene che sia già stato fotografato tutto, probabilmente non ha torto.
Soddisfatto della sua esperienza con Edizioni ZEROTRE?
Per uno come me, che ha stampato per il Metropolitan Museum di New York a quattro colori con lastre di zinco, la qualità è importantissima. La comunicazione è stata ottima, esattamente come il risultato ottenuto.
Com’è iniziato il vostro rapporto di collaborazione?
È nato tramite Domenico Scolaro, un artista molto eclettico.
Progetti immediati e futuri legati alla fotografia?
Sto lavorando a un fotolibro sugli ultimi muli delle Madonie. Siamo a cavallo degli anni Settanta. A quel tempo le auto erano ancora rare. Prima del Coronavirus ho fatto una mostra con alcune di queste foto dal titolo A cavallo che ha avuto un discreto successo. Stando a casa durante la pandemia ho scannerizzato molti negativi “bianconero” e ne è uscito altro materiale: 80-90 scatti meritano un libro.
Siamo in conclusione del nostro spazio. Consigli ai radioascoltatori il suo album di emozioni fotografiche.
Mi auguro che chi lo compra trovi spunti interessanti per le proprie foto a colori. Se, come dicevo prima, tutto è già stato fotografato, suggerirei di cambiare focus: André Kertész mi risulta non abbia mai fotografato a colori.
Come un’istantanea, ci regala il segreto per una fotografia ad effetto?
I segreti, ammesso che in fotografia ci siano, per rimanere tali devono restare nascosti. Salutando, non auguro “buona luce”, ma “cattiva”, perchè è proprio con quest'ultima che nascono le foto migliori.
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